CANTI D'AMORE DELLA GERUSALEMME LIBERATA

 

NOTE DI REGIA

 

“Teatro di Corte” suggerisce il ricordo di quel teatro rinascimentale, non ancora codificato in forme classicistiche, che poteva trovare i suoi interpreti tra nobili dilettanti, e il suo luogo tra architetture di palazzi e giardini, in colloquio con gli “ingegni” della pura finzione teatrale.

Ma questo ricordo “antico” potrebbe essere un confronto e una proposta tra le varie sperimentazioni del teatro contemporaneo. I mezzi tecnici di luci e amplificazioni sonore consentono oggi di creare una scena di “immateriali rapporti” entro le dimensioni reali di un giardino, ben più vasto del normale palcoscenico. Uno spazio variabile e sensibile sembra ben rispondere al testo del Tasso, così intimamente inquietante ed insieme così altamente retorico.

Agli attori si propone il problema di affrontare una recitazione ambigua a vari livelli: “dichiarare” ad alta voce anche i sentimenti più intimi; leggere il “libro”, che diventa un oggetto protagonista ed uscirne come personaggi.

Ma l’ambiguità del testo tassesco non è soltanto sensuale, psicologica e retorica; il discorso si allarga a significati filosofici, che possono oggi avere suggestioni addirittura politiche.

Al di là delle diverse “Chiese” che si combattono nella guerra Santa, gli eroi si riconoscono nel segno di un nobile sentimento cavalleresco che ha le sue radici in una cultura nata dalla reciproche influenze fra arte, filosofia, pensiero scientifico.

I simboli, in questo spettacolo, diventano ambigui: il Saraceno, la macchina dei tornei guerreschi, è una croce; e su questa croce viene innalzato Argante, il più feroce dei “Mori”, che nel momento della morte sa elevarsi al di sopra dello stesso Tancredi, il più nobile dei cavalieri cristiani; ed è Tancredi che gli concede onori e fama: “egli morì qual forte / onde a ragion gli è quell’onor dovuto / che solo in terra avanzo è della morte”.

 

Arnaldo Momo

 

 
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