IL GIOCATORE
“Il Giocatore” è una delle sedici commedie di Goldoni per l'anno comico 1750-51. Fu un fiasco, ed invero, tolto il bellissimo lazzo iniziale con Arlecchino e le invenzioni dei due vecchi Gandolfa e Pancrazio, rappresentanti di una tragi-comica passione fuori tempo massimo, non ci sono scene il cui successo sia scritto: quelle scene che gli attori attendono con ansia quando la serata si preannuncia fiacca. Eppure “Il Giocatore” è una commedia di grandi suggestioni, scritta in una stagione goldoniana caratterizzata dallo sperimentare e che, di conseguenza, invita a sperimentare. La "camera da gioco nel casino" in cui si svolge quasi tutta l'azione, è un luogo tipico della Venezia settecentesca, ma insieme è un luogo che non può ospitare il Mondo di quella borghesia del lavoro che Goldoni aveva assunto come metro di giudizio: il luogo di una passione viziosa ed oziosa, che "si svolge in una dimesione temporale sospesa tra la notte e il chiarore del giorno, tra il sonno e la veglia" (C. Alberti). Lo scambio tra la mascherata Rosaura e Beatrice, di cui l'assonnato Florindo è vittima nelle prime scene, sembra già suggerire lo spostamento dell'azione in una zona incerta tra la veglia e il sogno; ma ciò che ancora più conta è la struttura stessa della commedia tutta imperniata sul maniacale monologare di Florindo, impegnato nella "partita ideale, totale e perfetta" (C.A.) che dovrà procurargli ricchezza e piaceri. Sicché quando Florindo è costretto a rispondere dall'innamorata Rosaura, che sembra credere nel suo amore quia absurdum, ne esce uno stralunato dialogo dove ognuno va per suo conto: "Badate a parlar da voi solo, e non parlate con me" (II,8): una prova che dove esiste una vera passione, non c'è posto per nessun altra: nonostante le sue continue assicurazioni, Folrindo non è innamorato di Rosaura: quando arriverà la sognata, definitiva vittoria nel gioco, questo è il suo programma: "voglio farmi correr dietro da tutte le femmine della città" (I,4). Antagonisti di Florindo sono Pantalone e Brighella; per quanto riguarda il primo, la cosa è così naturale che non abbisognano commenti; il caso di Brighella, invece, è diverso, perché il suo moralismo contrasta con la sua professione di "custode", cioè gestore, del "casino"; ne nasce anche qui un continuo dialogare -contendere- con se stesso: l'ira contro il vizio del gioco, non potendosi sfogare nella solenne invettiva di Pantalone, sembra ritorcersi su se stessa, in astioso commento. Finisce come doveva finire: Florindo, rovinato dal gioco, per salvarsi è disposto a sposare Gandolfa, "un cadavere puzzolente" (III,19); ma naturalmente Florindo si pente, nomina Pantalone amministratore del suo patrimonio, Pantalone lo perdona e la di lui figlia, Rosaura, lo sposa: ridestandosi dal suo lungo sogno-incanto, Florindo ritrova la luce del giorno e la virtuosa salvezza. Sennonché il finale così sfacciatamente ottimistico, accettabile quando è pura convenzione teatrale -applaudibile!- è qui davvero inaccettabile; come il sogno ha sostituito la veglia, allo stesso modo un finale pessimistico può leggersi in controluce; perché se le nozze sono la salvezza di Florindo, esse sono, d'altra parte, la sconfitta e la morte del giocatore: senza mutar parola del testo, basta pensare non alla commedia del giocatore scritta dall'autore Goldoni, ma alla commedia del suo personaggio, il giocatore. La battuta finale è detta perciò da Florindo su suggerimento degli altri attori: ogni parola è un chiodo sulla bara del giocatore; resta fuori, illusoriamente intatto, l'involucro di Florindo, inconsistente apparenza senz'anima. Finisce con una grande risata: non solo Florindo, ma anche tutti gli altri, per conseguenza, si rivelano apparenze teatrali: un gioco delle parti non teorizzato, ma constatato.
Arnaldo Momo
|