LA BUONA MADRE

 

NOTE DI REGIA

 

Brecht si diceva d’accordo con Aristotele in un punto: che la favola è l’essenza della poesia. Ora la favola –non certo per colpa dei poeti- è in piena crisi: o si distrugge o si ignora; in altre parole –vittoria del diavolo del Doktor Faustus- non si è più capaci di crederci e dunque di farne. Non resta,per chi le è ancora fedele (crdere alla favola vuol dire credere alla ragione e al realismo), che verificare le favole degli antichi, vedere come sono andate a finire nei nostri giorni.

Questo è l’assunto della mia regia della “Buona Madre” di Goldoni. Goldoni, prima di Diderot, ha scoperto che la natura umana non è “naturale”, ma è in relazione con la condizione degli uomini nella società: per questo alla condizione (Madre) spetta il grado di sostantivo, e il carattere (Buona) è retrocesso ad aggettivo. A questa scoperta è legata la forma nuova del grande teatro borghese di Goldoni: il ‘comique raisonné’ ed il dialogo sperimentale. Ma la forma si accompagna contenuti piccolo-borghesi; è un difetto di Goldoni e della sua Venezia, ma, più in generale, un difetto di tutta la sua borghesia, delle sue contraddizioni per cui, mentre si identifica con l’umanità, resta pur sempre una classe con il suo ‘particulare’.

La “Buona Madre” da questo punto di vista è un testo estremamente stuzzicante. L’idea è stata quella di risalire al Settecento, passando per l’Ottocento, arrivando ai giorni nostri. Solo in questo modo, senza violentare storicamente il testo, avrei potuto leggerlo in tre modi diversi: rovesciare oggi i valori posti da Goldoni, scoprire la crisi dell’ istituto familiare che rivela l’amore dei genitori come violenza contro la libertà dell’individuo: mostrare nell’Ottocento l’ipocrisia che è necessaria alla buona coscienza borghese per dimenticare le contraddizioni: godere, infine, teatralmente dell’ottimismo Settecentesco, quando la borghesia era classe all’avanguardia e poteva in buona fede credere che i suoi valori fossero i valori stessi dell’Umanità.

Non sono partito dal Settecento per arrivare poi all’Ottocento e al Novecento, ma ho fatto la strada contraria: sono risalito dal presente al passato, per due motivi: non ci sarebbe stato choc  se il pubblico foss stato abituato alla novità; la conclusione ottimistica poteva stare solo nel Settecento.

 

Arnaldo Momo

 

Venezia, 1988.

 

 

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